L'assemblea di Telecom Italia, lunedi' scorso, e' stata molto "partecipata", al punto tale che il presidente ha dovuto invitare i presenti a lasciare libere le uscite di sicurezza.
Hanno parlato in tanti, dai rappresentanti dei lavoratori a Beppe Grillo.
Tra tante presenze, si sono notate anche molte assenze: quelle dei fondi comuni di investimento, che pure posseggono ben il 45% del capitale della societa'.
Nessun rappresentante di fondi comuni, italiani o esteri, ha preso la parola.
Il rappresentante di Assogestioni, l'associazione che raggruppa la maggioranza delle societa' di gestione, ha parlato solo di alcuni aspetti della
governance societaria tralasciando qualsiasi altro argomento.
Perche' questo silenzio da parte di soggetti che pure posseggono la maggioranza delle azioni di Telecom Italia? Le spiegazioni sono molto semplici.
- Le societa' di gestione appartengono soprattutto alle banche, e quindi non devono disturbare i rapporti tra le loro controllanti e le societa' di cui posseggono le azioni.
- Crearsi nemici sul mercato pregiudica successivi affari, quindi si applica il "vivi e lascia vivere".
- I soldi dei fondi comuni sono dei clienti, quindi i danni si ripercuotono su di loro.
Il rapporto sbagliato tra fondi comuni e banche e' un fattore che esiste da sempre. Uno dei tanti precedenti e' costituito dall'opa su Rinascente, un'offerta pubblica di acquisto che ando' in porto solo grazie alle adesioni dei fondi comuni i quali impedirono ai loro sottoscrittori di ottenere un ottimo guadagno, come invece accadde ai piccoli azionisti che tennero le azioni in portafoglio. La cosa fu da noi fatta notare a suo tempo:
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Ed e' uno dei fattori per cui la quasi totalita' dei fondi comuni non riesce nemmeno a pareggiare il rendimento del mercato.