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Minzolini: la partitocrazia ed il confino giornalistico
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Articolo di Alessandro Gallucci
10 dicembre 2011 17:02
 
Augusto Minzolini, attuale direttore del Tg1, martedi’ sara’ sollevato dal proprio incarico. La notizia e’ stata riportata da tutti i maggiori quotidiani nazionali. Un provvedimento, da tanti sperato, che lascia sbigottiti per l’ipocrisia e la tempistica tipiche della cultura partitocratica che imperniano la Tv pubblica.
Pare, infatti, che il direttore generale della Rai, Lorenza Lei, voglia far valere una legge, la n. 97 del 2001, che, tra le varie ipotesi, nel caso di accusa per peculato, consente di trasferire (a parita’ di mansioni e retribuzione) un dipendente di un ente pubblico o a partecipazione pubblica (il caso della Rai). Sembra che all’ormai ex direttore del telegiornale verra’ offerto il ruolo d’inviato in qualche sede estera. Con tutti i benefit che quella posizione comporta. Ivi compresi i rimborsi spese. Insomma, a metterla sul ridicolo, per uno accusato di aver distratto soldi dalle carte di credito aziendali la misura sa piu’ di promozione che di punizione.
Ironia a parte, se quanto trapelato fosse vero si tratterebbe di una misura dal sapore di confino. Minzolini e’ indagato da mesi anche per altre vicende e solamente adesso si provvede a sostituirlo. Per carita’, come dicevano gli antichi dura lex sed lex; l’articolo della legge in questione opera obbligatoriamente al momento del rinvio a giudizio; proprio per cio’ e’ andata bene al direttore del Tg che non sia stato posto in aspettativa retribuita. Certo sarebbe stato piu’ coraggioso da parte dei vertici dell’azienda di servizio pubblico rimuovere il direttore della principale testata giornalistica ben prima e per i clamorosi fallimenti pervenuti durante la sua direzione. Cosi’, pero’, si sarebbe contravvenuti al diktat della partitocrazia italiana che, nella piu’ rinomata logica di lottizzazione della Tv di Stato, aveva riservato a Minzolini il ruolo di speaker della maggioranza governativa. Maggioranza che ora e’, in parte, diversa e quindi necessita di un nuovo strillone di regime. Se la Rai fosse stata un’azienda privata (come vorrebbe un referendum del 1995, vinto dagli elettori), magari concessionaria del servizio pubblico, non si sarebbe dovuti ricorrere a questo sotterfugio giuridico per rimpiazzare un direttore: questo sarebbe stato cambiato molto prima per risultati scadenti o, meglio ancora, la scelta, fin dal principio, sarebbe stata differente.
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