testata ADUC
Prodotti falsi. Le rotte mondiali. Studio
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Redazione
22 giugno 2017 13:27
 
 Da dove vengono i prodotti falsificati? Chi li produce? Da dove passano nel loro tragitto fino al destinatario finale? A queste domande cerca di dare risposta uno studio elaborato dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e dall’Ufficio per la proprieta’ intellettuale dell’Ue (EUIPO) che viene pubblicato oggi. Secondo le conclusioni dello studio, la Cina e’ il principale Paese produttore di prodotti falsificati e piratati, che si vendono in tutto il mondo, mentre Hong Kong, Emirati Arabi Uniti e Singapore sono per eccellenza i Paesi dove questi prodotti fanno scalo prima di arrivare al consumatore.
Lo studio richiama l’attenzione sulla crescente importanza degli invii postali e del commercio elettronico nella filiera di mercato delle falsificazioni. E vuole dare una nuova svolta dopo quanto pubblicato lo scorso anno da entrambi gli organismi per analizzare l’impatto economico del traffico di falsificazioni e prodotti piratati. Questo studio, i cui sono stati utilizzati i dati raccolti dalle dogane di tutto il mondo, concludeva col fatto che il commercio dei prodotti falsi era cresciuto nel 2013 a 461.000 milioni di dollari (413.500 milioni di euro), equivalente al 2,5% del commercio totale globale. Nel caso dell’UE, la percentuale arriva al 5%. Cina e Hong Kong sono stati identificati come Paesi di origine dell’80% dei prodotti intercettati dalle autorita’.
Nello studio attuale, i due organismi selezionano una gamma di prodotti piu’ falsificati e piratati, distribuendoli in 10 categorie, che rappresentano il 63% del valore totale delle falsificazioni: prodotti alimentari, farmaceutici, profumeria e cosmetici, pelletteria e borse, indumenti e tessuti, calzature, gioielleria, apparecchiature elettriche ed elettroniche, dispositivi ottici, fotografici, medici e giocattoli. Nel contempo, e’ stato sviluppato il concetto di “Paese di provenienza”, che prima non distingueva i Paesi produttori da quelli di transito. Ammette quindi “limitazioni” pur se e’ molto difficile conoscere realmente dove si producono i prodotti falsificati -i criminali non hanno l’abitudine di fornire dati delle loro attivita’-, e differenzia Paesi produttori e di transito, incrociando i dati dei “Paesi di provenienza” dello studio del 2016 coi dati sulla capacita’ industriale -se si e’ capaci di produrre legittimamente, si puo’ fare altrettanto coi falsi- e sulle sue riesportazioni -se e’ punto di transito di Paesi legittimi, puo’ esserlo anche di quelli falsificati.
Con questo metodo, gli autori concludono che la Cina e’ il Paese dove si produce la maggior parte dei prodotti falsificati del mondo. Il gigante asiatico e’ il maggiore produttore dei beni delle 10 categorie, ad eccezione di quelli farmaceutici, dove il primo posto e' dell’India. Nello studio si evidenzia che questi prodotti farmaceutici hanno come destinazione principale i Paesi dell’Africa subsahariana, mentre i Paesi sviluppati sono la destinazione principale dei prodotti elettronici.
La Turchia ne esce male da questo studio. Pur se non e’ al primo posto tra i Paesi produttori di nessuna categoria, e’ ai primi posti in varie di esse, per cui’ e’ qualificata come “produttore relativamente importante”, soprattutto per gli articoli di pelle, alimenti e cosmetici, che distribuisce in UE via terrestre.
In quanto ai punti di transito, una semplice visione della mappa allegata da’ idea da dove si muovono i prodotti falsificati.
Di base, si producono in Asia (Cina, India, Thailandia…) e viaggiano verso l’Occidente partendo da porti come Hong Kong, Macao e Singapore e Paesi dell’est europeo (Ucraina, Albania), del nord dell’Africa (Marocco, Egitto) e del Medio Oriente (Emirati Arabi, Kuwait, Arabia saudita o Yemen). Panama si distingue come scalo del traffico verso gli Usa.
Alcuni di questi Paesi hanno “governi deboli e con forte presenza del crimine organizzato”. Questi punti di transito sono essenziali per nascondere l’origine illegale dei prodotti perche’ in essi, oltre ad essere autentici centri di distribuzione illegale, sono anche i luoghi in cui avvengono falsificazioni di documenti, cambi di etichette, riconfezionamento o ridistribuzione in contenitori con le caratteristiche legali. Lo studio segnala che le organizzazioni criminali svolgono un ruolo molto importante nel traffico delle falsificazioni “identificando rapidamente i punti deboli” per prendersi gioco della autorita’.
Il problema degli invii per posta
Tra i metodi che utilizzano le mafie per ingannare i servizi doganali, lo studio segnala la crescita degli invii postali per distribuire i prodotti falsificati, Tra tutte le intercettazioni dei prodotti falsificati tra il 2001 e il 2013, il 62% sono stati inviati per posta. Hong Kong, Singapore ed Emirati Arabi Uniti sono segnalati come punti di transito dove i prodotti falsificati sono riconfezionati da grandi contenitori in piccoli per l’invio postale. Per gli autori dello studio, questi invii per posta riflettono “i sempre piu’ ridotti costi degli invii postali e la crescente importanza di Internet nel commercio elettronico e nel commercio internazionale”, anche per i beni falsificati.
Per migliorare l’efficacia della lotta contro il traffico di prodotti falsi, il documento raccomanda di analizzare piu’ in profondita’ il problema dei piccoli invii postali e la lista delle “zone di libero commercio” stabilite da molti Paesi per stimolare il commercio stesso. Queste zone franche, in Paesi di transito, finiscono per trasformarsi in paradisi fiscali fuori dai controlli delle autorita’ doganali, paradisi usati dai trafficanti per “occultare l’origine dei loro carichi”, maneggiare “impunemente” (rietichettare, reimpacchettare o redistribuire) i beni falsificati e far si’ che alcune imprese abbiano un aspetto legale, necessario per “appoggiare le loro operazioni illegali”.

(articolo di Javier Salvatierra, pubblicato sul quotidiano El Pais del 22/06/2017)

 
 
 
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS