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I tuoi dati sono in vendita a 7 centesimi
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Articolo di Redazione
5 maggio 2017 8:24
 
 Quanto volte in un anno metti una crocetta su una clausola che autorizza all’accesso e alla cessione dei tuoi dati? Cinque, dieci? Fai bene il conto. Comunque la spada di Damocle e’ nei social network dove, in realta’, i dati si cedono in qualunque transazione. Nel prendere una cara di credito, fare un acquisto, registrare un wifi, partecipare ad un’indagine, visitare pagine web…. Dati che individualmente non hanno valore, ma che insieme ad altri costituiscono una nuova miniera, con maggiore valore di quelle di oro. Non sono solo i dati privati di ogni singola persona, ma l’attivita’ di ciascun individuo, quando fa un acquisto o quando esprime un’opinione nell’ambito di un commento nei social network, il big data permette di ottenere le preferenze politiche, religiose, sessuali e alimentari, cosi’ come la situazione economica, sanitaria, di sicurezza e anche emozionale di ogni persona. Gli algoritmi segreti che usano queste imprese sono sempre piu’ sofisticati e, di conseguenza, le possibilita’ sono infinite.
Un gruppo di ricercatori di Amnesty International ha rivelato l’offerta di una di queste imprese, Exact Data, sui dati di 1,8 milioni di musulmani per 138.380 dollari (126.851 euro), cioe’ 7,5 centesimi di dollaro (7 centesimi di euro) per persona. Questa compagnia, “presume di avere una base di dati di 200 milioni di contatti in Usa che possono essere filtrati attraverso 450 categorie, tra cui religione ed etnia”, dice la ricerca che ha pubblicato sul proprio web. Questo sito, ExactaData.com, offre anche “un ventaglio di liste di contatti preconfigurati”, per esempio, quelli di “statunitensi ispanici non assimilati” (a differenza di quelli che sono integrati nella societa’ Usa, indipendentemente dalla loro condizione legale).
Molte delle imprese che vivono dalla vendita di dati privati di persone, non si nascondono in Internet.
“Il fatto che si possano commercializzare queste liste e possano finire in mani indesiderate, fa si’ che sia possibile che si usino per iniziative che possano colpire i diritti umani, come la creazione di sofisticati profili che possano rappresentare una minaccia alla privacy”, dice il direttore della comunicazione di Amnesty International Spagna, Miguel Angel Calderon.
Proprio entro un anno, a maggio del 2018, cominciera’ ad essere applicato un nuovo regolamento europeo di protezione dei dati piu’ restrittivo rispetto all’attuale, che si spera possa servire a migliorare il controllo dei cittadini sui dati personali che vengono ceduti a terzi.
Una degli autori di questa ricerca, responsabile alla Tecnologia e Diritti Umani di questa organizzazione, Tanya O’Carroll, spiega da Londra che il commercio con dati privati “e’ un business fiorente”.
“L’immensa crescita sperimentata da big data negli ultimi dieci anni ha permesso che i data broker (imprese di commercio dei dati) sappiano tutto di te”, dice questa esperta. “I dati piccoli e astratti, che non hanno nessuna importanza se presi da soli, incrociati, per esempio, con quanto mi piace Facebook, assumono un grande valore”.
O’Carroll mette in risalto uno degli aspetti piu’ rilevanti di questa situazione: l’anonimato di questa industria. “Non e’ trasparente, Sanno molto di te, ma tu non sai ne’ che hanno i tuoi dati ne’ il nome di queste imprese”. Solo in Europa, operano almeno 50 imprese di data broker, secondo la lista preparata da Amnesty International. E nel resto del mondo? “E’ impossibile sapere quelle che ci sono in Usa o in Asia. Centinaia”. “Cosa puo’ fare quindi ogni utente per proteggersi da questo commercio o, almeno, per avere un qualche controllo sui propri dati?”.
Privacy e sicurezza
“La gente e’ abituata a cedere i propri dati per qualunque cosa senza pensare che non e’ sicuro e che valgono soldi”, dice Alvaro Ortigosa, direttore del Centro Nacional de Excelencia en Ciberseguridad (CNEC) della Universidad autonoma di Madrid. “Ma, a parte pensare alla privacy, dobbiamo anche pensare alla sicurezza, alla vulnerabilita’ di queste basi di dati, che sono molto gustosi”.
Questo esperto ritiene che gli utenti debbano prender nota di tutti i web a cui hanno ceduto i propri dati in modo preciso “e scrivere loro perche’ li cancellino. E lo facciano di default”. Per quanto riguarda i dati vincolati ad un servizio, come la rete wifi della propria dimora abituale, Ortigosa sostiene che la legislazione dovrebbe obbligare le imprese a cancellare sistematicamente tutti i dati dei privati ogni tot numero di mesi.
Ma, come lavorano queste imprese? Borja Gonzalez di Regueral, vicepreside della School of Human Science & Technology, spiega che “e’ un business in cui o si vendono bene direttamente i dati o si cedono bene gli stessi, e comunque con la nuova direttiva europea, queste imprese saranno obbligate, tra le altre cose, ad informare l’utente della cessione dei propri dati a parti terze”. Il principale problema, secondo questo specialista, “e’ che e’ tua responsabilita’ leggere il contratto quando cedi i tuoi dati ma, chi si legge 15 pagine ogni volta che acquista un paio di pantaloni via Internet?”. Per questo, si deve aumentare la trasparenza”, dice Gonzalez del Regueral.
Ma i data broker non solo ottengono informazioni dalle transazioni o dalle reti sociali. “Aggregano numerosi dati di molti siti”, continua il nostro esperto. “Dai registri pubblici o da qualunque attivita’ in cui ci sono documenti che sono stati messi in Internet da qualunque organismo”. Ne’ sono gli unici che commerciano con le nostre informazioni private. “I dati sono una voce attiva per qualunque impresa. La questione e’ sapere qual e’ il metodo piu’ etico per commerciare con essi”.
E ora, di nuovo a contare. Quante volte hai ceduto i tuoi dati nell’ultimo anno? 50? “C’e’ una tendenza al rialzo nell’incorporare questo business nelle imprese tradizionali”.

(Articolo di Susanna Perez de Pablos, pubblicato sul quotidiano El Pais del 04/05/2017)
 
 
 
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