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Tassa concessione governativa telefonini: il punto della giurisprudenza
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Articolo di Claudia Moretti
25 settembre 2012 13:09
 
Appare ormai un orientamento consolidato della giurisprudenza quello che dichiara abrogato il presupposto applicativo dell'odiosa tassa di concessione governativa (Tcg). Tanto delle Commissioni Tributarie provinciali e regionali, quanto, della sezione tributaria della Corte di Cassazione. Sono sempre numerosi i giudici che accolgono la tesi del superamento della tassa ad opera dell'introduzione, per volere comunitario, del Codice delle Comunicazioni elettroniche.
Questa, in sintesi, la ricostruzione normativa che prevale (Commissione Tributaria Regionale Venezia n.33/2012; Commissione Provinciale di Firenze, 11 luglio 2012 n. 116; Commissione Provinciale di Grosseto 15 luglio 2011, Cassazione Civile sez. Tributaria n. 8825 del 1 giugno 2011):
La tassa di concessione governativa corrisposta dal 2005 dall’esponente per l’utilizzo del proprio telefono cellulare trovava, in passato, il suo principale fondamento normativo nelle seguenti disposizioni di legge:
1. l’art. 1 della ”Disciplina delle tasse sulle concessioni governative” (D.P.R. 641/1972) assoggetta alla tassa di concessione governativa ”I provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell’annessa tariffa”, ossia i provvedimenti concessori e gli altri atti amministrativi dichiarati equivalenti per legge;
2. la tariffa allegata al D.P.R. 641/1972 all’art. 21 (introdotto con D.L. 151/1991) prevede, fra tali atti amministrativi considerati equivalenti a concessioni statali, la ”Licenza o documento sostitutivo per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione” (ossia telefoni cellulari), quantificando l’ammontare della tassa da versare in € 5,16 per ogni mese di utenza residenziale ed in € 12,91 per ogni mese di utenza affari;
3. l’art. 318 del ”Testo Unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni” (D.P.R. 156/1973) stabiliva che ogni singola stazione radioelettrica, sia emittente che ricevente il servizio di radiodiffusione, dovesse obbligatoriamente ottenere apposita licenza da parte dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni;
4. infine l’art. 3 comma 2 del ”Regolamento concernente il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione” (D.M. 33/1990), introdotto con specifico riferimento ai telefoni cellulari) statuiva che il contratto di abbonamento rilasciato dalla società gestrice del servizio di telefonia all’utente finale sostituisse, a tutti gli effetti, la licenza di stazione radio detenuta dalla società stessa. Ne conseguiva che anche il contratto di abbonamento, in quanto documento sostitutivo di un atto concessorio, fosse soggetto alla tassa di concessione governativa così come quantificata dall’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. 641/1972.
Queste le norme che delineavano il precedente regime concessorio, legittimando in passato la pretesa impositiva gravante su ogni utente del servizio di telefonia mobile con abbonamento.
Ebbene, questo impianto normativo è stato rivisto e modificato in toto nel 2003, con l’introduzione del ”Codice delle Comunicazioni Elettroniche” (D.Lgs. 259/2003) il quale, in attuazione di direttive comunitarie di liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni volte a garantire un quadro normativo comune in materia di reti e servizi di comunicazione, ha espressamente abrogato l’art. 318 del Codice postale (D.P.R. 156/1973), facendo così mancare il principale presupposto normativo della tassa di concessione governtiva sui telefoni cellulari e di fatto svuotando di contenuto, e abrogando quindi implicitamente, anche l’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. 641/1972 nonchè l’art. 3 del D.M. 33/1990.
L’art. 3 del D.Lgs. 259/2003, infatti, garantendo “i diritti inderogabili di libertà delle persone nell’uso dei mezzi di comunicazione elettronica, nonché il diritto di iniziativa economica ed il suo esercizio in regime di concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche”, si pone in netto contrasto con l’ormai obsoleta impostazione del Codice postale che, per l’utilizzo di apparecchi in grado di accedere alle reti di comunicazione, richiedeva una preventiva autorizzazione sotto forma di ”licenza”. Con la riforma operata dal Codice delle comunicazioni è stata invero abolita ogni concessione o autorizzazione, in un processo di privatizzazione del settore delle comunicazioni elettroniche che “ha avuto come principale conseguenza il passaggio dalla concessione (che é un atto amministrativo emanato nell’ambito di un rapporto pubblicistico, con una posizione di preminenza delle Pubblica Amministrazione sui privati) al contratto, cioè uno strumento di diritto privato il quale presuppone una posizione di parità tra i contraenti” (Commissione Tributaria Regionale di Venezia - Mestre, Sez. I n. 5/1/11 depositata il 10 gennaio 2011).
Il legislatore ha pertanto operato una precisa scelta nel senso di sottrarre alla proprietà esclusiva dello Stato la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, rinunciando così al sistema concessorio delle telecomunicazioni che costituiva il presupposto giuridico per la legittima tassazione degli atti amministrativi autorizzatori.

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