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Carceri e sorveglianza. La tecno-parata di Hong Kong
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Articolo di Redazione
27 marzo 2019 12:56
 
Prigione di Pik Uk. Hong Kong, ore 10.07: in un dormitorio, un detenuto si precipita verso una stretta finestra, ha una corda legata in vita. Ore 10, 7 minuti, 5 secondi: il suo corpo penzola dalle sbarre. Un allarme interrompe il silenzio. Ore 10, 7 minuti, 10 secondi: due guardie carcerarie fanno irruzione. Ci sono voluti dieci secondi per prevenire il suicidio grazie alle nuove tecnologie. Fine della simulazione.
L’amministrazione penitenziaria di Hong Kong ha aperto alla stampa le porte del centro di detenzione di Sai Kung, nelle colline lussureggianti del settore chiamato Nuovi Territori, il tempio di una impressionante dimostrazione in loco dei dispositivi tecnologici da ultimo grido. La loro nuova “prigione intelligente” la si vuole “più sicura e senza pericoli”.
In questa mattinata, l’edificio è clamorosamente silenzioso, solo pochi palloni attaccati in cima alle pareti del filo spinato testimoniano la recente presenza di veri detenuti. Ci si sente osservati. Negli stretti corridoi con griglie, lungo le pareti di anice verde o le massicce porte blindate, le telecamere sono ovunque. Esse sono ormai le più sofisticate. Oltre alle pattuglie di cani e alle telecamere a circuito chiuso, i prigionieri sono per dieci ore al giorno sotto l'occhio vigile di macchine fotografiche "intelligenti": dieci per dormitorio con 22 letti a castello e persino due nella toilette adiacente. Quando un corpo oscilla, cade a terra, si scuote per più di qualche secondo o quando una testa colpisce ripetutamente un muro, appare un rettangolo rosso sugli schermi di controllo, un bip tipo videogame suona se il movimento sospetto continua.
Braccialetto
"Se i detenuti sono seduti o sdraiati, non suonerà, ma se c'è un comportamento anomalo, sì", dice un supervisore, durante la dimostrazione di fronte a queste pareti nude e questi letti che sembrano ingessati, svuotati dei loro occupanti per l'occasione. Nessun tentativo di fuga ha avuto successo per undici anni nelle carceri di Hong Kong, il cui tasso di occupazione è del 74%. Gli attuali 8.300 detenuti sono mantenuti lindi come piastrelle, secondo le statistiche. Ma "alla luce delle rivolte su larga scala in altri Paesi", Hong Kong ha "preso l'iniziativa di rafforzare le misure di prevenzione, con piani di risposta alle emergenze e attrezzature" per "limitare attività proattive e illecite", afferma Woo Ying-ming, Chief of Corrections.
Hong Kong ha investito 3,5 milioni di dollari di Hong Kong (394.000 euro) negli strumenti di alta tecnologia in forma sperimentale e presentati in un video. Come sottofondo una musica da film d’azione, dove si vede un detenuto che fugge in un corridoio. Il braccialetto al suo polso permette di capire che non fa la strada che dovrebbe fare, e dà automaticamente l’allarme. Altra innovazione: un braccialetto connesso che controlla continuamente gli impulsi e gli altri dati dei detenuti che hanno bisogno di assistenza medica, cosa che dovrebbe rendere meno oneroso il lavoro dello specifico personale addetto al reparto medico.
Inoltre, dei sistemi di chiusura delle porte con riconoscimento facciale ed un robot che controlla le celle delle nuove matricole per trovare le droghe nascoste o ingerite. Così da impedire ai carcerieri di sporcarsi le mani. E’ questo uno degli obiettivi di questo supporto tecnologico: alleggerire il lavoro dei sorveglianti e fidelizzare le nuove reclute in un momento in cui vi è una carenza gigantesca di personale e molti pensionamenti.
L’automstizzazione della sorveglianza solleva tuttavia più di una questione relativa alla vita privata dei detenuti. Un ufficiale ha chiarito che i dati medici saranno distrutti nel giro di quaranta giorni. Le registrazioni delle videocamere “in generale” dopo trentuno giorni, assicurano i servizi di sorveglianza che “amministrano” i dati. Il ritardo dovrebbe essere al massimo di sette giorni, salvo incidenti che hanno bisogno di una inchiesta, dice Richard Tsoi della ONG di Hong Kong Society for Community (SoCo), secondo cui, “il livello già molto alto di sicurezza” dei prigionieri di Hong Kong “non giustifica le installazioni urgenti” di questi gadget tecnologici. Ma Tsoi riconosce di “non controllare il 100%” del funzionamento di questo dispositivo “intelligente”. Ennesimo campanello d’allarme di un’altra organizzazione dei diritti umani.
Primizie
Tranne rari casi nel Regno Unito, in Usa e a Singapore, l’intelligenza artificale a livello carcerario è ai supi primi passi. Ma progredisce. Una équipe dell’Università di Swinburne di Melbourne ha analizzato una sorta di prigione fuori dalle mura, dove il detenuto sconterebbe la pena da casa, controllato da rilevatori, algoritmi e altri oggetti connessi, come soluzione per promuovere il reinserimento e liberare le carceri sovrappopolate e molto costose.
Ma l’impatto di un uso massiccio della tecnologia “interferisce potenzialmente nella vita privata dei detenuti”, mette in guardia la SoCo. Uno studio del 2011 condotto dall’istituto di criminologia di Cambridge suggeriva che la sensazione di essere sorvegliati di continuo contribuiva a creare una “atmosfera di sospetto continuo e di paranoia”, portando ad una “perdita di identità”: “La minaccia di una “condanna senza fine” era presente ogni giorno, sempre, perché i prigionieri non sapevano esattamente quale informazione poteva essere utilizzata contro di loro, e ogni informazione avrebbe potuto esserla”.
E’ l’incarnazione moderna del concetto panottico di Bentham, ripreso da Foucault: un sistema carcerario nel quale il detenuto si crede osservato giorno e notte, e che, secondo il filosofo, induce “ad uno stato cosciente e permanente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere”.

(articolo di Rosa Brostra, corrispondente da Hong Kong, pubblicato sul quotidiano Libération del 27/03/2019)
 
 
 
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