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Il nostro cervello all'epoca dei nuovi modi di leggere
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Articolo di Redazione
12 gennaio 2013 19:38
 
 Maryanne Wolf, direttrice del Centro di ricerca sulla lettura e il linguaggio dell'Universita' Tufts (Boston, Usa) e' autrice di “Proust e il calamaro” (in riferimento al fatto che questi animali sviluppano le loro reti di neuroni). Nell'ambito di “Entretiens du Nouveau Monde industriel”, che si tiene al Centre Pompidou di Parigi, la specialista di sviluppo dell'infanzia ha evocato “la modificazione del nostro cervello-lettore nel XXI secolo” (qui il video integrale).
Come leggiamo?
“Il cervello umano non e' programmato per essere in grado di leggere. Esso e' fatto per sentire, parlare, intendere, riguardare.. Ma noi non siamo geneticamente programmati per imparare a leggere”. Come spiega il neuroscienziato francese Stanislas Dehaene nel suo libro “I neuroni della lettura”, noi abbiamo utilizzato il nostro cervello per identificare dei modelli. E' l'invenzione culturale che ha trasformato il nostro cervello, che ha congiunto e connesso i nostri neuroni tra loro, che hanno imparato a lavorare in gruppi di neuroni specializzati, essenzialmente per decifrare il riconoscimento delle forme. Riconoscimento che, insieme a dei modelli, ha permesso la nascita dei primi simboli logografici, consentendo di simbolizzare cio' che si vede come pitture rupestri o le prime tavole sumeriche. Con l'invenzione dell'alfabeto, l'uomo inventera' il principio che ogni parola e' un suono e che ogni suono suo' essere identificato con un simbolo. Il cervello-lettore e' quindi in grado di “vedere”, decodificare informazioni, motivi e di trattarli per poter pensare ed avere una riflessione.
Pertanto, il circuito di lettura non e' omogeneo. Quando si osservano le immagini cerebrali di un inglese che legge l'inglese, un cinese che legge il cinese o i caratteri cinesi (Kanji), un giapponese che legge i propri sillabari fonetici (Kana), ci si rende conto che queste letture attivano zone sensibilmente differenti secondo le forme di scrittura. Questo significa che ci sono molteplici circuiti di lettura nel nostro cervello. Il cervello e' plastico e si organizza in diversi modi per leggere, riferendosi al sistema di scrittura e al mezzo di comunicazione utilizzato. “Noi siamo cio' che leggiamo e cio' che noi leggiamo ci forma”. Cio' che spiega anche che ogni bimbo che impara a leggere deve sviluppare il suo proprio circuito di lettura.
Cio' che stimola di piu' il nostro cervello, secondo le immagini mediche, e' suonare un pezzo al pianoforte, poi leggere un poema molto difficile, spiega Maryanne Wolf. Poiche' la lettura profonda ha bisogno di una forma avanzata di concentrazione, come sottolinea Proust in “Sulla lettura”: “Noi sentiamo molto bene che la nostra saggezza comincia dove quella dell'autore finisce, e noi vorremmo che ci desse delle risposte. Mentre tutto cio' che puo' fare e' di darci dei desideri. E questi desideri, non puo' risvegliarli in noi se non facendoci contemplare la bellezza suprema alla quale l'ultimo sforzo della sua arte gli ha permesso di arrivare. Ma per una legge singolare e talvolta provvidenziale dell'ottica degli spiriti (legge che significa, puo' darsi, che noi non possiamo ricevere la verita' di nessuno, e che noi dobbiamo crearla da soli), cio' che e' il significato della loro saggezza non ci appare che come l'inizio della nostra, in modo che e' al momento dove essi ci dicono tutto cio' che ci possono dire, che essi fanno nascere in noi il sentimento su cui non ci hanno ancora detto niente”.
La lentezza, la concentrazione e il processo cognitivo, incoraggiano il cervello-lettore. La deduzione, il pensiero analogico, l'analisi critica, la deliberazione, la perspicacia, l'epifania (cioe' la comprensione improvvisa dell'essenza e del significato di qualche cosa) e la contemplazione sono una delle meravigliose conseguenze della nostra capacita' di leggere il pensiero di un altro.
Perche' la lettura digitale e' differente?
Cio' che noi sappiamo del nostro cervello-lettore ci rende chiaro cio' che noi sappiamo nell'epoca della cultura digitale? Quali sono le implicazioni profonde sulla plasticita' dei nostri circuiti di lettura in considerazione del fatto che noi utilizziamo dei media dominati dal digitale?
Nel 2008, in un'intervista per Wired, qualche mese prima di scrivere il suo famoso articolo “Google ci rende stupidi?”, Nicholas Carr, spiegava: “La cosa piu' improvvisa nella visione di Stanley Kubrick non era che i computer cominciano a comportarsi come le persone, ma che le persone cominciano a comportarsi come dei computer. Noi cominciano a trattare l'informazione come se fossimo dei nodi, tutto e' questione di velocita' di localizzazione e di lettura dei dati. Noi trasferiamo la nostra intelligenza nella macchina, e la macchina trasferisce in noi il suo modo di pensare”.
Le caratteristiche cognitive della lettura online non sono le stesse di quelle della lettura profonda, valuta Maryanne Wolf. Con il digitale, la nostra attenzione e la nostra concentrazione sono parziali, meno sostenute. La nostra capacita' di lettura si fissa sull'immediatezza e la velocita' di trattamento. Noi privilegiamo una forma di lettura che ci permetta di fare diverse attivita' nel medesimo tempo con a disposizione una gran quantita' di informazione. I supporti digitali tendono a rendere la nostra lettura fisica (tattile, interazioni sensoriali...) in modo che il leggere ci immerga in un processo cognitivo profondo. Per la specialista sembra impossibile immergersi nell'ipertesto. Riprendendo Carr, “la scrematura e' la nuova normalita'. Con il digitale, si scannerizza, si naviga, si rimbalza, si prendono dei punti di riferimento. Noi tendiamo a spostare, a cliccare e questo riduce la nostra attenzione profonda, la nostra capacita' di avere una lettura concentrata. Noi tendiamo a dare piu' importanza all'immagine. Noi tendiamo a meno interiorizzare la conoscenza e a dipendere di piu' dalle fonti esterne”.
I lavori di immagini cerebrali sugli effetti cognitivi del multitasking (lavorare -apparentemente- contemporaneamente con diversi programmi informatici) ci mostrano che anche se si puo' apprendere essendo distratti, questo modifica il nostro modo di apprendere, rendendo l'apprendimento meno efficace e utile -cosi' come stima Russ Poldrack, professore di psicologia e neurobiologia. I fattori tattili e materiali hanno anch'essi un'importanza. Ci si puo' immergere nell'ipertesto allo stesso modo con cui ci si potrebbe perdere in un libro, stima la specialista di lettura Anne Mangen del “Centro di lettura” dell'Universita' di Stavanger (Norvegia). Diversi studi ci hanno mostrato che il nostro livello di comprensione tra lo schermo e la stampa avviene sempre a detrimento del digitale, ricorda Maryanne Wolf. Ma forse bisogna sfumare cio' che dice Wolf e sottolineare, come l'abbiamo gia' ricordato quando Nicholas Carr ci dice che i protocolli di sperimentazione dei neuroscienziati difendono spesso delle tesi. La scienza e le immagini mediche sembrano prese in considerazione perche' diano delle prove. Quando invece le differenze di protocolli tra uno studio e l'altro, lo scarso valore numerico della popolazione studiata, necessiterebbero di maggiore prudenza nelle conclusioni.
Rimane il fatto che per comprendere questa differenza tra carta ed elettronica, dice Maryanne Wolf, bisogna capire come si forma la nostra capacita' di lettura profonda. La nostra lettura superficiale e la nostra attenzione continua a informazioni esterne, sono la nuova minaccia delle letture digitali? Questi due rischi faranno andare in corto circuito il nostro cervello-lettore? La costruzione delle immagini durante l'infanzia sta per essere rimpiazzata da quella, esterna, che tutti i nuovi supporti ci offrono?
“Noi non torneremo indietro, a prima dell'era pre-digitale”, dice Maryanne Wolf. “Non e' ne' fattibile, ne' auspicabile, ne' realizzabile”.
“Ma non dobbiamo accettare di barcollare in avanti senza comprendere che il repertorio cognitivo della nostra specie rischia di perderci o di guadagnarci”. “Sarebbe vergognoso se la piu' brillane tecnologia che noi abbiamo sviluppato finisca per minacciare il tipo di intelligenza che l'ha prodotta”, dice Edward Tenner, storico delle tecnologie. E Maryanne Wolf ci mostra tre bambini seduti su un divano, ognuno con il proprio computer sulle ginocchia. E' l'immagine stessa che ispira la nostra paura del domani. La stessa immagine che evocava l'antropologa Stefana Broabent a “Lift 2012”. Salvo che l'antropologa ci mostrava che li' si trattava di una rappresentazione sociale... una domanda totalmente scevra dei discorsi allarmisti di Maryanne Wolf, che compara l'attivita' cognitiva dei cervelli abituati alla lettura tradizionale, con quella dei cervelli che scoprono i modi del digitale.
Il digitale ha un difetto maggiore, quello di introdurre, nel nostro rapporto culturale, modalita' infinite di distrazione. Come ci diceva Laurent Cohen nel 2009, lo schermo o la carta non cambiano niente nella capacita' di lettura. Ma e' la rete che pone problemi e soprattutto perche' ci porta una distrazione permanente, che consente sempre di fare altre cose rispetto a cio' che si pensava di fare.
Se la lettura profonda puo' essere fatta sia su carta che attraverso la rete, il principale problema indotto dal digitale, e' la possibilita' di distrazione grazie al mezzo stesso, che chiede, per contrastarla, un controllo piu' ferreo.
Verso un rinvio del nostro futuro cognitivo?
Come risolvere questo paradosso, si domanda Maryanne Wolf, Come possiamo evitare di mandare in corto circuito la nostra capacita' di leggere in profondita', acquisendo le nuove competenze necessarie per il XXI secolo?
Un primo passo potrebbe essere quello di avere coscienza dei nostri limiti, stima Maryanne Wolf. Ricordiamoci che il nostro cervello non e' mai stato geneticamente programmato per leggere. Che ogni lettore deve costruire i propri circuiti di lettura. Che sono plastici e influenzati dai media e dai sistemi di scrittura che utilizziamo. Il nostro cervello-lettore e' capace sia delle piu' superficiali che delle piu' profonde forme di lettura, filtrando e pensando.
Possiamo immaginare che l'accesso all'informazione non smettera' di aumentare. Ma non sappiamo se l'accesso immediato a vaste quantita' di informazioni trasformera' i processi interni di lettura, cioe' la comprensione profonda e l'interiorizzazione della conoscenza.
Per dirlo in altro modo, il nostro cervello e' di una plasticita' totale, ma questo non vuol dire che noi stiamo andando verso la perdita di questa caratteristica o della capacita' d'attenzione, anche perche' queste hanno piu' che mai un'importanza sociale. Al momento, potremmo rispondere a Maryanne Wolf, che cio' il cervello-lettore ci ha fatto piu' perdere e' certamente la nostra capacita' di leggere i dettagli del mondo naturale, che comprende i cacciatori-raccoglitori.
Non sappiamo se l'accesso immediato a questa quantita' crescente di informazioni esterne ci allontana dai processi di lettura profonda o, al contrario, ci incita ad esplorare i significati delle cose piu' in profondita', dice Wolf riconoscendo essa stessa, dopo aver inviato diversi allarmi, l'ignoranza dei neuroscienziati in materia. Bene, non sappiamo se i cambiamenti che si annunciano nell'interiorizzazione delle conoscenze si tradurranno in un'alterazione delle nostre capacita' cognitive, ne' in che senso andra' questa alterazione.
Se non sappiamo tutto del nostro futuro cognitivo, dice Wolf, puo' darsi che possiamo conservare alcuni obiettivi in vista. Cosa possiamo sperare? La tecnologia interrompera' l'apprendimento, stima Wolf evocando l'esperimento che essa stessa ha condotto al MIT con dei tablet dati a dei bambini etiopi che non erano mai stati alfabetizzati, e che che mostra delle ragazze in grado di memorizzare l'alfabeto che non avevano mai appreso. Come si possono creare le condizioni perche' i nuovi lettori sviluppino una doppia capacita'... sapere sia quando devono scremare l'informazione sia quando devono concentrarsi profondamente?
Sembrando di credere all'apprendimento attraverso delle macchine, come mostra l'esperimento OLPC in Etiopia, al quale Wolf ha partecipato con un certo entusiasmo (nel momento in cui alcuni specialisti dell'educazione hanno mostrato che l'essenziale delle applicazioni per l'apprendimento della lettura non consentiva di andare oltre l'apprendimento dell'alfabeto, e in ogni caso non era sufficiente per apprendere solamente a leggere), e non ha smesso di metterci in guardia sui rischi che il digitale puo' portare alla lettura profonda, Maryanne Wolf sembra aver fatto una grande deviazione che non ci ha aiutato a vederci piu' chiaro.
Dopo la lingua e il linguaggio: la conoscenza
Per l'ingegnere e filosofo Christian Fauré, membro dell'associazione “Ars Industrialis”, l”organologia generale”, … descrive e analizza una relazione tra tre tipi di “organi” che intanto definiamo umani: gli organi fisiologici (e psicologici), gli organi tecnici e gli organi sociali.
“I nostri organi fisiologici non si evolvono indipendentemente da quelli tecnici e sociali”, ricorda Christian Fauré. In questa configurazione tra i 3 organi, che si autodeterminano tra loro, il processo di ominizzazione sembra di piu' in piu' portato, trasportato dall'organo tecnico. Perche' in questo contesto di innovazione permanente, il processo di ominizzazione, cio' che ci trasforma in uomini, e' sempre piu' indicizzato dall'evoluzione dei nostri organi tecnici. Il problema e' di sapere come i nostri organi sociali, psicologici e fisiologici seguiranno il ritmo di questa evoluzione. All'epoca dell'invenzione dei primi treni, le persone avevano paura di salirvi, ricorda il filosofo. Si pensava che il corpo umano non fosse fatto per andare a piu' di 30 Km all'ora.
L'evoluzione che noi conosciamo si produce grazie a delle interfacce tra i diversi organi ed e' quelle che noi dobbiamo comprendere. Qual e' il ruolo degli organi tecnici e quali sono i loro effetti sui nostri organi sociali e fisiologici?
La scrittura, per lungo tempo, e' stato il nostro principale organo tecnico. Perche' essa e' “memo-tecnica”, essa guarda e conserva la memoria. Per il suo modo di essere, grazie alle interfacce di pubblicazione, essa rende pubblico, per noi stessi e per gli altri e distingue l'ambito privato e quello pubblico. L'evoluzione attuale delle interfacce di scrittura, riorganizza senza sosta la frontiera tra il privato e il pubblico. Con il digitale, le interfacce di lettura e di scrittura non smettono di creare confusione tra destinatari e mittente, tra cio' che e' privato e cio' che e' pubblico, una distinzione che e' il fondamento stesso della democrazia, attraverso la scrittura pubblica della legge. Con il digitale, non si sa piu' chi vede cio' che io pubblico... ne' perche' si vedono i messaggi altrui.
Il problema di chi scrive a chi e' divenuto abissale, perche', con il digitale, noi siamo passati dalla scrittura con le macchine alla scrittura per le macchine. L'industri digitale e' diventata un'industria della lingua. E questa industrializzazione non si fa piu' attraverso delle interfacce su macchine domestiche ma attraverso delle nuove interfacce, prodotte attraverso e per le macchine, la principale delle quali e l'API, l'interfaccia di programmazione, che permette ai sistemi logici di interfacciarsi con altrettanti sistemi logici.
Il numero di API pubblicate tra il 2005 e il 2012 ha conosciuto una crescita esponenziale, come ce lo fa sapere “ProgrammableWeb” che ne tiene il conto. Ormai piu' di 8.000 imprese hanno il proprio business che passa attraverso le API. “Il web delle macchine emerge piu' del web degli umani. Si passa da un Internet di umani messo in opera attraverso le macchine, ad un Internet per le macchine, messo in opera attraverso le macchine. L'API e' la nuova membrana dei nostri organi tecnici e ci permette di operare automaticamente ed industrialmente sulle reti”.
Scrivere direttamente col cervello
Il mondo industriale va gia' piu' lontano del linguaggio, ricorda Cristian Fauré in occasione degli “Entretiens du Nouveau Monde industriel”. “Non scriviamo piu'. Scriviamo senza scrivere, come ci mostra Facebook che aggiorna i nostri profili e le nostre reti sociali senza che noi dobbiamo piu' scrivere sui nostri muri. I nostri organi digitali ci permettono di scrivere automaticamente, senza che sia necessario avere una particolare competenza. E questo e ancor piu' vero nell'epoca nella raccolta/cattura dei dati comportamentali e corporali. I nostri profili sono aggiornati da dei cookies piuttosto che dai nostri apparecchi tecnici che scrivono sulla nostra piazza. Noi avviamo dei sensori e l'API 'che fanno parlare i nostri organi'. Le interfacce digitali alle quali ci connettiamo non sono piu' delle tastiere o degli schermi tattili... ma sensori e dati”. Gli apparecchi del “Quantified Self” sono ormai disponibili per il grande pubblico. La cattura degli elementi fisiologici si indirizza al nostro cervello, come spiega Martin Lindstrom in “Buy.Ology”. “Non abbiamo piu' bisogno di informare chiunque sia. I sensori lo fanno in nostra vece. Peggio, il neuromarketing sembra non gradire il linguaggio. Ci chiede di tacere. Non vuole ascoltare cio' che gli si puo' dire o pensare, i dati che producono i nostri sensori e i nostri profili sono sufficienti”. Come nei serial americani tipo “the Mentalist” dove gli inquirenti non sono piu' interessati a cio' che voi dite. Essi non fanno altro che osservare le persone, le leggono nel corpo, nel cervello. “La scrittura stessa non e' piu' quella di Foucault, gli scambi attraverso le lettere. Si puo' ormai scrivere senza saper scrivere. Stiamo entrando in un'epoca di scrittura automatica, che non necessita di nessuna competenza. Non abbiamo piu' bisogno del linguaggio. Le apparecchiature sono sufficiente per riattualizzare il 'conosci te stesso'”!
Google e Intel investono essenzialmente nell'ambito delle API neuronali e cercano di creare una interfaccia diretta tra il cervello e il server. Il documento non e' piu' l'interfaccia. Noi siamo l'interfaccia!
“Cosa diventano la democrazia e la Res Publica quando i dati si scrivono automaticamente, senza passare dal linguaggio? Quando la distinzione tra il pubblico e il privato sparisce? In considerazione del fatto che fino ad oggi, la competenza tecnica della lettura e della scrittura era la condizione di cittadinanza”, si interroga Christian Fauré.
I sensori e le interfacce di programmazione non fanno che quantificare, ci consentono ugualmente di agire sul nostro mondo, cosi' come lo proponevano i primi videogiochi basati su un casco elettroencefalografico (per esempio Mindflex e Star Wars Science), caschi che utilizzavano l'attivita' elettrica del cervello nel gioco, per fare lo stesso gioco. Questi videogiochi stanno per mandare in corto circuito il nostro organo fisiologico?
Ma, come dice e scrive Maryanne Wolf, noi non siamo destinati a scrivere. Questo pero' non ci ha impedito di apprenderlo. Noi siamo, ancor meno, nati per agire sul reale senza utilizzare i nostri organi e i nostri membri, cosi' come lo proponevano i caschi neuronali.
Quando si guardano le cartografie della corteccia somatosensoriale, generalmente ci viene presentata una rappresentazione di noi stessi secondo l'organizzazione neuronale. Questa deforma la nostra anatomia per evidenziare le le sue parti piu' sensibili, le piu' connesse al nostro cervello. Questa rappresentazione di noi stessi e' la stessa di quella che propone la logica dei sensori. Che a noi sembra ben peggio.
Cosa accadra' domani se ci troveremo nel reale come se fossimo nei caschi neuronali? La Science Fiction ha sicuramente anticipato la situazione. In “Forbidden Planet” (film americano di fiction realizzato da Fred McLeod Wilcox e comparso sugli schermi nel 1956), il sottosuolo del pianeta e' un vasto data-center interfacciato coi cervelli degli abitanti del pianeta che esprime la sua piena potenza durante il sonno delle persone. “Cio' che ci ricorda sempre la Science Fiction e' che i nostri peggiori incubi si manifestano quando si interfaccia l'incoscienza alla macchina, senza passare attraverso la mediazione della scrittura o del linguaggio. Se la potenza del digitale e' interfacciata e connessa direttamente agli organi fisiologici, senza la mediazione di scrittura e linguaggio, ci si immagina a che punto i problemi tecnologici non siano niente altro che problemi etici”, conclude il filosofo.
Se non si puo' che essere d'accordo con questa paura della modifica del cervello e del modo stesso di pensare attraverso il digitale, come detto anche nei diversi interventi di questa edizione dell'Entretiens du Nouveau Monde industriel, puo' essere che sia piu' difficile fermarsi ad una denuncia, come l'ha mostrato l'ambiguita' dei discorsi di Maryanne Wolf. Se noi abbiamo usato degli organi tecnici, e' perche' speravamo che essi ci avrebbero liberato, ci avrebbero trasformato, ci avrebbero fatto distinguere dagli altri nostri individui della nostra specie e dalle altre specie. Per rispondere a Christian Fauré, si puo' evidenziare che la Science Fiction e' ricca di opere che mostrano o dimostrano che l'aumento delle nostre capacita' grazie alla tecnica e' anche un mezzo per fare altre cose, per divenire altre cose, per avere maggiore potere sul mondo e su di se'. Mi sembra, per la mia parte, che sia importante guardare cio' che le interfacce neuronali e i sensori liberano, permettono. In “the Mentalist”, per riprendere i riferimenti di Christin Fauré, sono le capacita' straordinarie da medium dell'inquirente che trasforma il suo rapporto col mondo e con gli altri. Se l'interfaccia diretta degli organi fisiologici attraverso sensori e dati, produce nuove forme di potere, allora e' certo che noi ne prenderemo possesso, al meglio o al peggio. Si puo' legittimamente avere paura o inquietarsi, ma questo non sara' sufficiente a distoglierci.
Che cosa apprenderemo usando l'attivita' elettrica dei nostri cervelli? Si puo' legittimamente domandarsi cio' che potra' distruggere... Ma se non si guarda cio' che questo potra' liberare, si restera' ad una denuncia senza alcun effetto.

(articolo di Hubert Guillaud, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 12/01/2013)
 
 
 
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