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Lo scandalo di Uber e’ l’inizio della fine di un’era nella Silicon Valley?
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Articolo di Redazione
2 luglio 2017 14:27
 
 Lo scandalo di Uber e’ l’inizio della fine di un’era nella Silicon Valley?
In un altro universo, Travis Kalanick avrebbe potuto essere un cattivo in una dei comics che adorano, secondo un cliché diffuso, gli ingegneri della Silicon Valley. L’ormai ex-ad di Uber, che si e’ dimesso il 20 giugo dopo una lunga serie di scandali -19 secondo il calcolo del quotidiano britannico The Guardian- in cui avrebbe fatto tutto. Molestia sessuale, sorveglianza elettronica dei suoi autisti, furto di proprieta’ intellettuale, e’ riuscito a rappresentare il catalogo completo delle scelleratezze del mondo del lavoro moderno.
Il mito delle start-up
Ma come in tutti i buoni libri di comics, il cattivo non e’ spesso che la metafora di un problema piu’ grande. La Silicon Valley non produce imprese come le altre. Esse sono spesso piu’ ricche rispetto alla media -o perdono molti piu’ soldi rispetto alla media-, ma esse sono, soprattutto, inttrise in una cultura in cui la diversita’ non e’ la parola chiave.
Dalle piu’ piccole start-up fino a Google -accusata dalle autorita’ americane di sottopagare i suoi dipendenti-, la Silicon Valley e’ immersa in quella che alcuni chiamano la “bro culture” (la cultura dei fratelli), una miscela di maschilismo e di culto del denrao e del risultato. Che si combina ad una simpatia verso chi elude le regole senza farsi prendere: da Steve Jobs copiando le interfacce di Xerox, a Mark Zuckerberg che ha ripreso i progetti dei fratelli Winklevoss, la mitologia delle start-up rigurgita di eroi che hanno rubato delle idee, tradito dei meccanismi o anche direttamente violato la legge in virtu’ della filosofia del risultato.
Certo, il problema non e’ nuovo. Ma le dimissioni di Kalanick ha aperto i varchi di una discussione globale, in cui la Silicon Valley stessa si interroga sui propri demoni e i suoi contropoteri. “E’ la fine di un’era”, vuole credere Quartz, un sito di informazione economica molto legato all’ambito tecnologico, che vede nella partenza dell’ad e l’annuncio di nuove misure di “normalizzazione” i primi segnali di un “Uber 2.0”.
Pertanto, con un settore che prona da sempre le virut’ e l’autoregolazione di fronte all’invadente intervento dello Stato, molte questioni si pongono sul ruolo degli azionisti del gruppo, accusato di “laissé faire”.
“Nooo, Emmanuel, noooo!”
“Sicuramente, e’ il capitalismo, ma scusateci se noi speriamo meglio. Abbiamo tutti i nostri difetti e non rispettiamo sempre le regole, ma non nelle proporzioni di quello che Uber ha fatto”, scrive l’influente Kara Swisher, cofondatrice di Recode, un sito consacrato alle nuove tecnologie. A chi si domanda “come gli investitori hanno potuto tollerare tale livello di degradazione, di corruzione e di indecenza”, Swisher ha una risposta semplice: “Poiche’ non aveva rischi (ndr. Per il giro d’affari di Uber), Kalanick si sentiva sicuro”.
Globale e poco di attualita’, questa rimessa in discussione del modello della Silicon Valley trova un’eco un po’ particolare in Francia, dove nessuno scandalo comparabile a quello di Uber non e’ stato segnalato fino ad allora, ma dove Emmanuel Macron ha detto e ridetto sulla sua ambizione di fare del Paese una “start-up nation”.
Quello per cui gli e’ valso di essere direttamente denunciato da Susan Fowler, che ha denunciato le molestie sessuali permanenti presso Uber, e’ stato l’avvio della caduta di Travis Kalanick. In risposta ad un tweet del presidente della Repubblica in cui si afferma di voler creare “una nazione che pensa e agisce come una start-up”, lei lo esorta a non farne niente: “Nooo, Emmanuel, noooo! Voi non leggete le informazioni su quello che accade nel mondo delle start-up?”.

(articolo di Damien Leloup, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 02/07/2017)
 
 
 
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