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CANONE/TASSA RAI E CORTE COSTITUZIONALE
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Comunicato 
27 giugno 2002 0:00
 


TUTTO E’ LEGITTIMO PER GIUSTIFICARE IL "GRANDE FRATELLO"

Firenze, 27 Giugno 2002. La Corte Costituzionale ha sentenziato: il canone/tassa della Rai e’ legittimo, proprio perche’ e’ un introito fiscale che garantisce l’informazione completa e imparziale, nonche’ la cultura nelle sue piu’ articolate manifestazioni. Cioe’ pagare una tassa per ogni apparecchio o sistema telericevente serve a rendere, con l’informazione di Stato e di Governo per gli amministrati di questo Stato e di questo Governo, un servizio che migliora gli italiani.
Sembra un discorso che non fa una piega se considerassimo un contesto sociale e solidale di cui tutti dovremmo sentirci parte. Per fortuna (peccato direbbe qualcun altro) non e’ cosi’, perche’ stiamo parlando di informazione e economia nel 2002, e non di Eiar nel 1938. Non solo, ma stiamo parlando di un contesto sociale ed economico in cui ognuno ha in casa una televisione e un computer dove averlo acquistato con i propri soldi, e non perche’ glielo ha dato in dotazione lo Stato e Il Governo perche’ possa acculturarsi con le trasmissioni pubbliche. Cioe’ stiamo parlando di quello che dovrebbe essere un mercato, dove a competere, ognuno dovrebbe avere basi uguali di partenza e lo Stato dovrebbe farsi garante di questa uguaglianza. Ma, invece, lo Stato e’ concorrente avvantaggiato rispetto ad altri: un fatto secondario per la nostra Consulta. Che ha ritenuto opportuno addurre motivazioni che facciano contento un presumibile ministero della Cultura, piuttosto che delle Comunicazioni e dei Beni Culturali, o un altrettanto presumibile ministero dell’Economia Nazionale o Partecipazioni Statali, piuttosto che delle Attivita’ Produttive: ne’ piu’ ne’ meno di quanto potrebbe fare un organismo di massimo valore costituzionale in un Paese (per esempio Cuba) in cui si fosse presentata la necessita’ di ratificare la giustezza di alcune leggi rispetto all’operativita’ del Governo o dello Stato (che nel nostro caso, come nell’esempio che abbiamo ricordato, sono omogenei e monofunzionali).
Di fronte a queste alchimie della giurisprudenza costituzionale, non ci resta che ribadire che, fintanto ci sara’ il canone/tassa, e fintanto che ci sara’ la presunta necessita’ di un servizio pubblico radiotelevisivo, e’ bene che si eviti di parlare di liberta’ di informazione e mercato della stessa. Cosi’ ci risparmieremo, oltre al danno, la beffa. Basta sapere che c’e’ un "Grande Fratello" che tutto ci dice e ci indica (inclusa la cultura di Stato), e che e’ con lui che dobbiamo avere a che fare senza possibilita’ di rivalsa riformatrice. Non ce ne sono gli spazi, cosi’ come ci ha confermato la sentenza della Consulta.
E per chi voglia sentirsi libero, responsabile, economicamente in grado di decidere per se’ rispetto ai propri bisogni, i propri desideri e le proprie capacita’, non ci sono spazi: e’ obbligatorio essere sudditi, e guai a comprarsi un apparecchio telericevente o un computer, perche’ domani a casa non arriverebbe solo la lettera dell’Urar che insulta dicendo che ci ha pizzicato come evasori fiscali, ma –vista la "parabola" in materia- potrebbero arrivarci le guardie in camicia verde del ministro Bossi.
La nostra azione in Internet, tutt’altro che riformatrice ma abolizionista grazie ad una petizione, intanto va avanti con adesioni e attestati di simpatia: clicca qui
Vincenzo Donvito, presidente Aduc
 
 
 
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