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RAI: CONDANNATI A PAGARE L’INFORMAZIONE E L’INTRATTENIMENTO DI GOVERNO?
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Comunicato 
28 luglio 2002 0:00
 



Firenze, 28 Luglio 2002. Il ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, ha rilasciato una intervista al Quotidiano Nazionale (La Nazione, Il Resto del Carlino e Il Giorno), in cui delinea i suoi progetti per la ristrutturazione del servizio pubblico di informazione radiotelevisiva. Il titolo scelto dal giornale, virgolettato, quantomeno incuriosisce, Gasparri: "Ora basta con il canone Rai", e fa pensare a quando il ministro, nella passata legislatura, era un "semplice" deputato dell’opposizione e, frequentemente, assumeva queste posizioni.
Un ritorno alle origini? No, solo un consolidamento dell’esistente. Infatti il ministro vuole si’ abolire il canone, ma intende sostituirlo con una forma di finanziamento pubblico. Non ci dice come, ma siamo sicuri che lo Stato non rinuncera’ all’attuale introito, che, visti i progetti e le idee che circolano, sara’ anche piu’ penalizzante dell’attuale: il progetto piu’ accreditato e’ quello dell’on.Caparini, vice-presidente della commissione parlamentare di vigilanza Rai, che lo prevede come percentuale aggiuntiva ai tributi di ognuno, e quindi proporzionale -in valori assoluti- alla contribuzione fiscale di ognuno. Rimarrebbe quindi intatto il principio che obbligatoriamente il contribuente debba pagare per qualcosa di cui non si sa se ne usufruisce, con l'aggravante che, indipendentemente dal possesso di un televisore (che e' il motivo per cui oggi si paga la tassa/canone), il 100% dei contribuenti dovrebbe pagare per la Rai.
La bizzarra concezione di mercato dell’informazione del ministro Gasparri, poi, si manifesta quando sostiene che il finanziamento pubblico "e’ necessario, anche perche’ l’alternativa sarebbe far passare l’attuale tetto pubblicitario dal quattro al dodici per cento circa. Ma in questo modo toglieremmo a Mediaset appena l’uno per cento della pubblicita’ e il resto sarebbe sottratto agli introiti dei giornali". Un mercato, quindi, non fatto dalla qualita’ e dalla capacita’ di farsi scegliere dai consumatori, ma dalla difesa delle posizioni gia’ conquistate, con l’informazione di Stato a garante di questo assetto in manifesto abuso di posizione dominante.
E per meglio garantire il "moloch", il nostro ministro prevede anche di stravolgere quel minimo assetto di indipendenza che oggi e’ previsto nelle nomine del consiglio di amministrazione. Oggi quest’ultimo e’ nominato dai presidenti di Camera e Senato, quindi i rappresentanti di maggioranza e opposizione. Per il futuro Gasparri prevede la "proposta" del presidente del cda da parte del Governo. Quindi la Rai, che e’ proprieta’ del Governo (dopo la dismissione dell’Iri, la proprieta’ e’ "parcheggiata" al ministero dell’Economia), avra’ un presidente proposto dallo stesso Governo. Niente di strano se si trattasse di una azienda privata, ma in una azienda pubblica che (come anche ci ha ricordato il presidente della Repubblica nel suo recente messaggio alle Camere) dovrebbe far da tramite alle opinioni di maggioranza e opposizione, suona un po’ strano, decisamente condizionante. Anche perche’ lo stesso ministro Gasparri, sottolinea che lo spazio per l’opposizione ci sara’ in Rai, ma sara’ di quella opposizione che il Governo scegliera’: "le sembra logico che nel 2000 il Partito umanista abbia avuto gli stessi spazi degli altri? Occorre rispettare la reale rappresentanza di ciascun partito". Una concezione delle elezioni in cui l’informazione non deve essere per tutti coloro che si propongono (con i minimi requisiti richiesti per esserci, come, nel nostro caso, la presenza delle liste in una certa percentuale del territorio nazionale, e quindi aver avuto la capacita’ di raccogliere le firme dei proponenti), ma sbilanciata verso coloro che gia’ ci sono. E questo e’ un servizio pubblico? Ci sembra solo un sistema per garantirsi l’assetto esistente.
Potremmo continuare, ma e’ un gioco infernale che si attorciglia sul punto debole di tutta la questione, a cui, ovviamente, il ministro Gasparri non intende rinunciare: c’e’ proprio bisogno di un servizio pubblico di informazione e intrattenimento in apparente concorrenza con altre emittenti e in regime di abuso di posizione dominante? C’e’ proprio bisogno di una Tv di Stato onnivora del 100% della vita degli italiani? E non e’ forse proprio questa presenza che favorisce il fenomeno Mediaset e mortifica il mercato e la qualita’ dell’informazione e dell’intrattenimento?
Vincenzo Donvito, presidente Aduc
 
 
 
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