Il Sindacato Usigrai ha fatto sapere che i propri iscritti sciopereranno nella giornata di lunedì 6 maggio. Replica dell’azienda con altrettanto comunicato. Per chi si collegherà coi canali Rai potrà godere dell’emissione di entrambi i messaggi.
Gli scioperanti hanno problemi di confronti fra loro e l’azienda, rimpiazzamento dei pensionandi e di retribuzioni. Parlano di censura per il 25 aprile (caso Scurati). E terminano con lo slogan “La Rai è di tutti”.
L’azienda Rai risponde che lo sciopero è per motivazioni ideologiche e politiche. Elenca una serie di azioni aziendali che smentirebbero le rivendicazioni avanzate e accusa gli scioperanti di fake news. Anch’essa termina con una sorta di slogan, ché i cittadini, vista la campagna elettorale in corso, sarebbero privati del diritto all’informazione, “caposaldo della democrazia”.
Sono già in circolazione repliche e controrepliche di entrambe le parti.
Un aspetto della diatriba è positivo. Gli eventuali panni sporchi vengono lavati in pubblico. Questo ci fa piacere e ci conforta.
Anche se ci lasciano basiti “la Rai è di tutti” e il paventato pericolo di privazione del diritto all'informazione.
Primo perché la Rai non è di tutti, ma dei partiti presenti in Parlamento, partiti eletti dal 63,8% degli aventi diritto alle ultime elezioni del 2022. La maggioranza che decide (e governa anche il Paese) ha avuto grossomodo il 44% dei voti, quindi il potere elargito da grossomodo il 30% degli aventi diritto al voto è quello che decide. Niente di illegale, visto che le leggi in vigore validano percentuali di tal fatta: è bene esser precisi per capire cosa significhi questo “tutti”.
Secondo perché il diritto all’informazione applicato per la campagna in corso lascia perplessi: come la mettiamo, per esempio, sul fatto che i maggiori leader di governo e opposizione, candidati alle elezioni, godono di informazione istituzionale che, innegabilmente, ha ricaduta su quella elettorale? Anche qui niente di illegale, ma non si può dire che, ognuno con gli spazi che vengono dati in Rai per informare delle loro attività istituzionali, Meloni, Schlein, Tajani, Calenda, Renzi, Bonino… non abbiano un qualche privilegio.
C’è più di qualcosa che non torna in tutto il meccanismo a partire, per esempio, dal fatto che mentre un magistrato (esercente un potere dello Stato, il giudiziario) se si candida alle elezioni si sospende dalla sua attività, non accade altrettanto per chi esercita il potere esecutivo e legislativo.
Comunque: “baruffe chiozzotte” all’interno dell’ente che gestisce il servizio pubblico di informazione. “Baruffe” che non porteranno a nulla di diverso per i contribuenti che, per il possesso di un apparecchio tv, devono pagare un’imposta allo Stato, il canone, con cui finanziano la Rai che, nello stesso tempo, agisce in abuso di posizione dominante verso i propri concorrenti (questi ultimi campano solo di pubblicità mentre la Rai campa di pubblicità e canone).
Forse queste “baruffe” non ci sarebbero, o sarebbero senza paroloni altisonanti come fanno Usigrai e Rai, se il servizio di informazione pubblica non fosse governato dai partiti presenti in Parlamento, ma affidato ad un'azienda dopo aver vinto un appalto, così come lo hanno già chiesto gli italiani con un referendum.
Fantapolitica? O diritto all’informazione per tutti, ma proprio tutti?
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