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L'attivismo dei clic migliora il mondo?
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Articolo di Redazione
13 aprile 2012 18:04
 
In queste settimane si parla molto del controverso "Kony2012", il video ideato dall'organizzazione Invisible Children e diffuso via web. L'intento dichiarato della campagna è quello di riuscire, entro l'anno, a catturare e a consegnare alla Corte Penale Internazionale il capo ugandese dell'Esercito di Resistenza del Signore (LRA) Joseph Kony, ritenuto colpevole di reclutare ragazzini obbligandoli a compiere atrocità. Il 20 aprile le metropoli di tutto il mondo saranno tappezzate di manifesti "Joseph-Kony-2012" e intanto tutti possono partecipare all'iniziativa con spillette, adesivi e braccialetti.

Intervista a Sarah Genner, esperta di comunicazione presso l'Alta Scuola di Scienze Applicate di Zurigo.

D.Beobachter: Il video su Youtube "Kony2012" straccia ogni record. Ciò prova che oggi con i media sociali qualsiasi istanza può assurgere a tema pubblico?
R.Sarah Genner: C'è in effetti il mito che i mezzi di comunicazione sociali diano a tutti i Davide del mondo un'arma contro il cattivo Golia.
D. E' sbagliato? 84 milioni di clic in tre settimane non sono un gran risultato?
R. Sì, è impressionante. Ma la campagna non è scaturita dal nulla e non è stata fatta da dilettanti. Molti ignorano che dietro a tanti video di successo ci sono agenzie pubblicitarie professionali e un sacco di soldi, anche se questo non basta a garantire il risultato.
D. Nel caso "Kony2012" il progetto ha però avuto successo.
R. E' vero solo in parte. Il video ha certamente indotto molti media importanti a parlare di "Kony2012", ma soprattutto in termini di successo della campagna -non dell'argomento in sé. La complessità attorno a Joseph Kony è stata volutamente sottaciuta; il filmato e l'intera strategia mirano in primo luogo a raggiungere più persone.
D. E' quello che hanno ottenuto. Come ci sono riusciti?
R. La campagna unisce brillantemente l'attivismo classico e le strategie della Rete. L'organizzazione Invisible Children, che sta dietro al video, è impegnata dal 2004 a rendere noto il capo guerrigliero ugandese Joseph Kony, e in questi anni ha costruito una vasta rete cui ora può attingere. In più, chiede agli spettatori di contattare personalità della politica, della cultura e della vita pubblica affinché divulghino anche loro il filmato. E' un elemento importante poiché queste persone fanno da moltiplicatore. Poi è rilevante l'obiettivo immediato, ossia l'operazione del 20 aprile, quando nella notte Kony dovrà essere pubblicizzato in tutto il mondo. Il corredo per gli attivisti fatto di manifesti, adesivi, spillette e braccialetti mostra ancora una volta quanto l'iniziativa sia stata preparata accuratamente nei minimi dettagli.
D. Come giudica il video?
R. Anche qui sono stati usati vari registri. Il video è in stile hollywoodiano, altamente emotivo e coinvolgente. E ciò si deve al fatto che il regista ha posto al centro se stesso e soprattutto suo figlio -ciò che crea vicinanza. Se poi si esamina la ripartizione, allora appare chiaro che la spiegazione del tema vero è sacrificato, mentre il regista si concede tanto tempo per rivolgersi direttamente agli spettatori inducendoli a partecipare. Oltre tutto, con una semplificazione piuttosto grezza, il film trasmette questo messaggio: I bravi Stati Uniti devono catturare il cattivo Joseph Kony.
D. Proprio questa semplificazione è stata molto criticata negli ultimi giorni.
R. E a ragione. Il video trasmette fatti che sono controversi e trascura aspetti centrali. La cosa è delicata proprio perché l'iniziativa ha grande risonanza. Ma se guardiamo unicamente allo stile dell'intera operazione, secondo me "Kony2012" è pressoché assimilabile alla campagna elettorale di Obama.
D. Il video sembra suggerire che gli utenti possono davvero smuovere qualcosa. Anche un semplice trucco può avere successo?
R. Gli autori suggeriscono che l'attivismo dei clic è sufficiente a cambiare il mondo. Ma in definitiva la campagna chiede solo al Governo di agire. Per me è lobbying politica fatta con tutti i mezzi professionali oggi a disposizione -niente di più e niente di meno. Sarebbe sbagliato pensare che simili problemi si possano risolvere solo mediante i mezzi di comunicazione sociali.
D. Però in riferimento alla Primavera Araba il discorso è sempre ruotato intorno alla rivoluzione-twitter.
R. Sì, in effetti lo si leggeva dappertutto. Ma il ruolo dei media sociali nella Primavera Araba è stato sopravvalutato; il telefonino e l'emittente Al-Jazeera hanno avuto un ruolo altrettanto importante. Le rivoluzioni sono avvenute nelle strade, non in Rete. Oltre tutto, non bisogna dimenticare che in quei Paesi l'accesso al web è difficoltoso o bloccato, e che da anni gli internauti attivisti finiscono in gran numero nelle prigioni essendo facilmente identificabili dall'indirizzo IP.
D. Vuole dire che, malgrado l'enorme potenziale propagandistico, gli utenti di media sociali non hanno maggiore potere di prima?
R. Sì. Le strutture dell'ascolto non si sono modificate quasi per nulla. In un lavoro scientifico ho potuto dimostrare che attraverso Internet i cittadini non sono diventati più democratici in maniera determinante. E' emerso che chi ha già voce in capitolo nella vita reale -personalità politiche, celebrità o anche giornalisti- ricevono attenzione anche nelle piattaforme virtuali, mentre tutti quelli che nella realtà sono poco ascoltati, hanno difficoltà anche nel web a far arrivare la propria voce.

(Intervista di Nicole Kraettli per Beobachter.ch del 24-03-2012. A cura di Rosa a Marca)
 
 
 
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