Servizi aggiuntivi spacciati per modifiche contrattuali: è questo il motivo dell’ultima
condanna dell’Antitrust nei confronti di Wind Tre, su
segnalazione di Aduc.
Wind Tre aveva, infatti, ideato una
“terza via” per aumentare il fatturato di 22 milioni di euro al mese: modificare le condizioni di contratto a
ddebitando, a 11 milioni di clienti, Giga in più al mese al costo di 2 euro. A ciascun cliente è stata inviata via SMS una comunicazione con le seguenti opzioni:
- accettare la modifica di contratto e pagare 2 euro in più al mese;
- recedere e passare ad altro operatore;
- non accettare la modifica e rimanere con Wind (la “terza via”), inviando un SMS per rifiutare espressamente il servizio aggiuntivo ed il relativo addebito supplementare.
Nella
narrazione di Wind si trattava di una
opportunità offerta al cliente: “
la possibilità di esprimere oltre alla volontà di recedere senza costi, l’intenzione di mantenere l’offerta in essere, senza le variazioni comunicate”, ma dalla stessa difesa della società
traspare, piuttosto, il tentativo di salvare capra e cavoli, cioè
aumentare i prezzi senza rischiare di perdere i clienti. Si legge infatti nel provvedimento Antitrust “
Wind […] sostiene […] di essersi assunta, al contempo, “il rischio di impresa di ottenere da ciò un vantaggio inferiore a quello che avrebbe realizzato con la citata modifica di offerta senza opt-in, per evitare un diverso rischio di un pregiudizio più grave, derivante dalla possibile emorragia di disattivazioni legate alle richieste di recesso di chi non avesse accettato la variazione”.
Il professionista avrebbe scelto di “accollarsi l’onere economico conseguente alla riduzione numerica dei clienti destinatari della modifica contrattuale, a fronte del vantaggio della loro massima conservazione nel bacino di clientela”.
Di tutt’altro avviso l’Antitrust, secondo la quale
Wind - sanzionata con il massimo importo possibile per questo tipo di violazioni anche in ragione della recidiva - ha posto in essere “
una manovra finalizzata a veicolare un servizio aggiuntivo acquisendo il consenso del consumatore tramite un meccanismo poco trasparente di ‘silenzio assenso’ piuttosto che a seguito di una sua esplicita libera manifestazione di volontà”, avvantaggiandosi peraltro “
della mera distrazione o errore di quei clienti che, ad esempio, non abbiano letto il messaggio informativo o abbiano digitato male il testo previsto per rifiutare la variazione. Alcune categorie di utenti (ad esempio i titolari di schede SIM destinate al solo traffico internet inserite in apparati M2M come cancelli o allarmi per scelta del cliente di cui l’operatore è all’oscuro) sono, peraltro, incorsi nell’impossibilità di inviare il proprio dissenso alla nuova offerta in quanto non informati delle manovre attuate dall’operatore”.
Ma anche qualora Wind Tre si fosse limitata a comunicare una
modifica contrattuale (senza consentire di rimanere alla tariffa attuale) si sarebbe comunque trattato di una modifica illegittima poiché
non assistita da giustificato motivo. Secondo il codice delle comunicazioni elettroniche infatti le modifiche contrattuali unilaterali sono possibili solo se motivate da giustificati motivi previsti da contratto, collegati a situazioni che fanno capo alla società, non certo ai clienti. In questa operazione, invece, il “giustificato motivo” indicato da Wind Tre riguardava le “
esigenze di mercato legate al crescente bisogno di traffico dati”. Motivo non ritenuto valido dall’Antitrust perché non riguarda l’azienda ma i clienti, e soprattutto perché s
e il cliente ha l’esigenza di utilizzare più Giga, ne fa richiesta o seleziona sul mercato offerte aderenti alle proprie esigenze “
senza che il professionista si sostituisca ad essa con variazioni attivate senza un consenso esplicito”.
Il
reale motivo dell’operazione, aumentare i prezzi perdendo meno clienti possibile e massimizzando il profitto, non è un giustificato motivo di variazione contrattuale.
L’Antitrust ha quindi condannato Wind Tre per violazione dell’art. 65 del Codice del Consumo e le ha vietato la prosecuzione della condotta tutt’ora in essere, imponendo alla società di comunicare entro 90 giorni che iniziative abbia assunto in merito.
Quel che Wind ora deve fare, quindi, è:
-
interrompere gli addebiti di ulteriori 2 euro per ogni SIM coinvolta nell’operazione;
-
rimborsare i clienti coinvolti nell’operazione degli importi illegittimamente pagati
- darne comunicazione all’Antitrust entro 90 giorni.
Come sempre,
invitiamo tutti i consumatori coinvolti a inviare a Wind una
raccomandata A/R in cui si intima il r
imborso degli importi indebitamente pagati e si
diffida dall’addebitare ulteriori somme non dovuto, inviando la missiva anche ad Aduc per conoscenza.
In caso di mancata risposta, o di risposta negativa, invitiamo i consumatori a
comunicarlo ad Aduc,
segnalare l’accaduto all’Antitrust e a procedere con un
tentativo di conciliazione innanzi al Corecom.
Un’ultima riflessione.
A
ntitrust ha comminato a Wind Tre la massima multa possibile per questo tipo di violazioni -
5 milioni di euro – ma di tutta evidenza si tratta di una
cifra ridicola se paragonata al profitto che questo gestore avrebbe potuto trarre dall’operazione economica: 22 milioni di euro al mese,
264 milioni di euro all’anno. Senza l’intervento di Antitrust, Wind Tre avrebbe ricavato
oltre 50 volte il valore della sanzione.
Un
rischio che – economicamente parlando – vale la pena correre; una differenza abissale che vanifica l’intervento – pur pregevole – dell’Antitrust.
E’ indispensabile una modifica normativa che – come accade in altri settori – ancori la sanzione massima ad una percentuale di fatturato dell’azienda che commette la violazione. Solo così il gioco non varrà più la candela. Invitiamo il legislatore a farsi promotore di una iniziativa in tal senso, al quale offriamo la nostra collaborazione operativa.
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