E’ usuale che alcuni servizi ci vengano venduti gratuitamente (si pensi ai social)… ma è un gratuito che nasconde una “anomalia”: i dati che forniamo al “benefattore” per l’accesso hanno un valore monetario e ci sono non poche aziende che ci guadagnano (molto) sopra.
Ora l’Unione europea ha approvato una direttiva sui diritti del consumatore digitale. Si dovrebbero tutelare non solo i diritti del consumatore (diritto all’aggiornamento, per esempio) ma il fatto che i dati, di per sé, rappresentano un vero e proprio corrispettivo, cioè sono moneta. Ci sarà da capire come calcolare questo valore. Se, per esempio, sarà rispetto alla potenzialità di spesa del singolo utente, rispetto al valore della categoria in cui si viene inseriti, etc *.
Con questo nuovo approccio pragmatico, è probabile che un grande cadavere resterà sul terreno: la privacy e la sua “antica” attività di tutela dei dati personali.
Oggi la privacy è a prescindere da qualunque rapporto si abbia con chi ci fornisce un servizio. Si pensi alle norme che – mai - leggiamo accettando la policy della privacy di un gestore. Si pensi a tutte le volte che – in violazione talvolta ma in esecuzione quasi sempre - questi impegni sono patrimonio economico dello stesso gestore. Bene, domani non sarà più così: i miei dati varranno 100 o 500 e con questa moneta compro il servizio. Privacy non più come diritto inalienabile, ma merce.
Seguiamo con attenzione gli sviluppi nella nostra normativa nazionale.
* è stato calcolato che Facebook, per ogni utente americano guadagni 1,8 dollari al mese.
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